Sulla pazienza {e sul lavoro}

Dove va a finire tutta la pazienza che si accumula, dopo averla usata?
Ci si mette così tanto a crearla e a imparare a non perderla!
Personalmente, non credevo che, nel tempo, ne avrei prodotto una simile quantità.



A volte serve una forza disumana per trovarla dentro di sé e utilizzarla al meglio.

Specialmente in quei periodi, anche lunghi, che mettono a dura prova.
O davanti a persone con cui vengono enunciate tutte le parole di un vocabolario pur di arrivare a farsi comprendere, ma senza un minimo risultato.
Stupidità? Ignoranza? Presunzione? Qualsiasi sia il motivo, è spesso una battaglia persa.
O, ancora, al cospetto di gente supponente e fastidiosa. Ci pensate mai? In certi casi controbattere è praticamente inutile.
Ci sono situazioni in cui preferirei staccare la testa dal corpo che provare a respirare di pancia e a contare fino a cento.

Spesso ci si ritrova ad invocare la Santa Pazienza e ad oscillare, poi, tra il lamento e l'amaro in bocca.

Il guaio è che ognuno di noi percepisce come importante e grande quel che vive in un preciso momento della sua vita. E: un intoppo, una persona sgradevole, una notizia fastidiosa, una stanchezza prolungata, protratte notti insonni, un tassello lavorativo che si spezza ecc. ecc., renderà quel determinato giorno UN GIORNO NO, in cui sbraitare o stendere quel famoso velo pietoso.
Ovviamente, nel primo caso, può venir fuori tutto il fuoco accumulato in mesi, forse anni (chi può dirlo...) da sputare addosso al mondo.

Io, per esempio, ringrazio ogni giorno il cielo per quello che ho. Ma l'altro risvolto della medaglia è che quello che ho l'ho costruito pezzetto dopo pezzetto, con non poche rogne, sacrifici, notti insonni per pensare come mettere insieme i dubbi e le pianificazioni di mesi. Quindi, non accetto MAI che la mia professione venga sminuita, anche se e quando non si comprende. Serve sempre mettersi nei panni dell'altra persona, avere empatia col prossimo e non svalutare mai qualcosa che lo riguarda, nemmeno per sbaglio. Da adulti, certi errori non sono ammessi. E il discorso è estendibile a qualsiasi altra categoria: aspetto fisico, abbigliamento, scelte di vita, amori, e via dicendo.

Abbiamo un meraviglioso detto che recita "Vivi e lascia vivere" e che reputo una delle frasi più belle al mondo.

Del mio lavoro posso parlare io.
Posso raccontare, ad esempio, come non mi permetta di dormire sugli allori, mai, anche se ai più sembra che io stia su Facebook a cazzeggiare.
Non mi alzo esattamente quando voglio e alle 18 non chiudo la porta dell'ufficio, anzi, a volte sono al pc mentre gli altri dormono.
Spesso sono in giro, ma quasi mai per riposo assoluto. Mi diverto lo stesso, perché amo il mio lavoro (l'ho scelto!) ma non ho ferie nel senso stretto del termine, almeno non fino a quando non potrò permettermi di pagare qualcuno che lavori al mio posto.
Lavoro in casa ma... lavoro, ed è dentro casa che restano i problemi, e non è cosa facile scindere vita privata da vita professionale, specie quando si è una coppia che lavora insieme e a cena ci si ritrova, senza volerlo, a parlare degli algoritmi di Instagram.



A volte mi chiedo se tornerei indietro. Mi rispondo con "Ni". Non per cambiare rotta, perché credo in quello che ho creato. Correggerei, però, certe cose. Un esempio? Tutto il tempo perso sui libri che, onestamente, posso dire essermi servito a ben poco. Avrei piuttosto investito anni su esperienze concrete e viaggi, cose di cui ho sentito enorme mancanza.

Sì, se oggi un diciottenne mi chiedesse consiglio, gli direi senza dubbio "Studia", ma senza focalizzare lì ogni energia. Non è lì che tutto risiede e, al giorno d'oggi, non restituisce grandi cose.

Ricordo il primo comunicato stampa fatto - che mi hanno insegnato a comporre in una casa editrice -, ricordo come ho gestito gli imprevisti durante il mio anno in teatro, imparando a mie spese cosa si intendesse per problem solving, ricordo l'ansia del mettermi alla prova e la tristezza dei primi fallimenti, quando gestivo una realtà di street food.

Ricordo l'emozione dei successi e la soddisfazione a fine giornata, il contatto con la gente, tutti i miei singoli lavori nella comunicazione e nella gestione degli eventi, alcuni anche assurdi.
Ricordo i capi pessimi e quelli che oggi sono nel mio cuore per le cose che mi hanno lasciato fisse in testa e che UTILIZZO nella mia attività.

Ricordo come ho costruito, passetto dopo passetto, la mia autostima, i primi guadagni, fino a creare, dopo qualche anno, la mia azienda. Che è frutto delle batoste e dei lavori difficili, soprattutto.

Non ricordo una sola nozione di Filologia o Glottologia, però, né come finiscono certi romanzi letti per gli esami.

La verità è che non è un pezzo di carta che rende un uomo migliore di un altro.
Ho messo in piedi un'agenzia di comunicazione, e non di certo grazie alle mie lauree, che mi volevano professoressa di italiano. Lavoro che, per altro, non ho mai desiderato fare.

Se all'Università mi avessero insegnato, oltre alle nozioni, qualcosa sulla Vita (che non è fatta di libri), forse avrei costruito la mia strada molto prima e con meno errori e, chissà, oggi non sarei qui a chiedermi a cosa cavolo mi sia servito studiare la lingua Ladina (sì, Ladina, non Latina...) quando alla fine, ciò che resta, sono i clienti che pagano in ritardo o quelli che cambiano idea come cambia il vento, le bollette sempre troppo alte e un lavoro compreso dal 5% della popolazione.

Questo sui libri non è scritto.

È la vita, a tratti bellissima a tratti difficilissima. Ma bisognerebbe insegnarlo sui banchi di scuola che dentro di noi si nasconde un Orlando che può diventare Furioso non solo per amore, ma per l'ennesimo bonifico che non entra, ad esempio!


Ma a cosa servono tutte queste parole che iniziano con la Pazienza e sembrano terminare con una filippica sulla Vita?
Non vi sembra, eh, ma il nesso c'è. Eccome se c'è.

Ci insegnano che bisogna avere fede, che la ruota gira, che si deve essere disponibile e gentile. Che non bisogna andare in escandescenza quando la gente sbaglia ma riflettere ed essere migliori di chi abbiamo davanti.

Ci insegnano che si deve fare il proprio dovere, che ci si deve sacrificare per raggiungere gli obiettivi, che a un certo punto ci si deve anche accontentare.

Istruirsi, fare/dare, costruire, essere sul pezzo, produrre. Ma senza mai dare veri mezzi.

Sapete che c'è?
Che non è questione di fede o di ruote rotanti, ma di ingegno, coraggio e maniche rimboccate.
Che senza metterci grinta e volontà nulla arriva per caso e, se anche cade dal cielo, non dura.
Che la gentilezza a senso unico non paga e se una persona non è gentile con noi non è necessario passare per idioti e si può rispondere a tono.
La disponibilità è bella, anche donata gratuitamente, è vero. Ma dare dare e dare, senza mai ricevere, non è bontà ma perdita di tempo, a meno che non si faccia per beneficenza e per scelta, non per obbligo. Se un cliente non paga, insomma, non è un cliente ma una zecca che succhia il tuo sangue.

Ricordiamoci che l'essenza di una persona si compone di emozioni. E, se da una parte, avere pazienza è importante, perché servono determinati modi di fare e una buona dose di rispetto sociale, dall'altra anche la rabbia fa parte dell'uomo.
E, se necessaria, occorre esprimerla e non reprimerla. Non è la soluzione.

La vita, e non i libri, mi hanno insegnato che il rispetto non deve mai essere univoco. 
Nel lavoro come nei rapporti familiari/d'amicizia.

Pazienza sì o no?
Sì, ovviamente, soprattutto per non rovinarsi il fegato, ma dire sano vaffanculo all'occorrenza non ha mai fatto male a nessuno, ricordatevelo :)




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